lunedì 1 novembre 2010

AZIONI NON PAROLE - Liberazione animale con ogni mezzo!


Se scriviamo queste righe è perché crediamo nell’azione diretta per la liberazione animale.Vogliamo parlare a coloro che sentono il dolore degli animali, che ne conoscono la vastità e che vogliono porvi un freno. Potremmo scrivere di molti altri argomenti, potremmo diffondere appelli per la diffusione del veganismo o volantini informativi, ma quello lo fanno già molte altre realtà e associazioni. Qui stiamo scrivendo un appello per la diffusione dell’azione diretta e l’immediata liberazione degli animali dai loro luoghi di reclusione.

Avrete visto le immagini crude degli allevamenti o dei macelli, quelle di animali scuoiati vivi per la pelliccia, di volpi uccise con scosse elettriche o di file interminabili di gabbie e di esseri viventi che vi languono in attesa della morte. Avrete visto filmati girati all’interno dei laboratori di vivisezione, di animali che piangono e urlano disperati e di aguzzini insensibili che ogni giorno causano loro dolore e sofferenza. Avrete visto cuccioli di foca uccisi a picconate sulla testa, scie di sangue sul ghiaccio e le loro pelli messe in mostra in squallide pelliccerie. Avrete visto pulcini a cui viene tagliato il becco, maiali a cui viene tagliata la coda, animali marchiati a fuoco, per alimentare il mercato della carne.
Avrete provato una tristezza immensa, forse avrete pianto per quello che vedevate, forse quelle immagini vi hanno cambiato la vita e avrete fatto delle scelte. Ma avete provato sicuramente anche qualcos’altro... rabbia, frustrazione, voglia di fare subito qualcosa di concreto per fermare tutto quell’orrore.

Questi sentimenti sono inevitabili di fronte ad orrori di tale portata. Ci si sente frustrati perché le proprie scelte personali, come diventare vegan, non sono sufficienti e perché la vastità dei numeri e della sofferenza ci sembra insormontabile. Ci sembra che qualunque sforzo possiamo provare a fare possa essere inutile. Con la rabbia e la compassione si entra nel movimento, si comincia un proprio percorso di cambiamento personale e di lotta, ma purtroppo la frustrazione aumenta e la rabbia diminuisce, e così molti finiscono per abbandonare il campo pensando comunque che i propri sforzi non sono serviti a niente perché non si sono visti risultati concreti ed immediati.

Anche a queste persone è dedicato questo scritto, affinché ripensino alle loro scelte e rimettano in gioco la propria rabbia. A tutti gli altri invece, che la rabbia la sentono ancora ruggire dentro di sé, vogliamo proporre un antidoto contro la frustrazione, vedere cioè alcuni risultati immediati. Non è forse un risultato immediato e un sollievo per lo spirito lo sguardo di un animale liberato, felice di una nuova vita fuori dalla prigionia e dall’incubo dello sfruttamento? Non è un risultato immediato un allevamento che chiude, una pellicceria che diminuisce gli introiti o costretta alla chiusura, un vivisettore che abbandona il proprio lavoro?
Non vorreste forse anche voi vedere risultati di questo tipo ed esserne gli artefici? Se non tu chi? Se non ora quando? Molti, troppi, pur riconoscendo  l’importanza dell’azione diretta ed esaltandosi nel sentire le notizie di sabotaggi o liberazioni di animali, pensano che sia qualcosa di distante da loro, che non gli compete, a cui forse non sono pronti o di cui non vogliono prendersi i rischi. Non stiamo puntando il dito contro nessuno e ci sono sicuramente buone motivazioni per cui qualcuno non può davvero rischiare in prima persona, ma per gli altri ci sono solo scuse o semplicemente una delega e una componente di lassismo. Si aspetta che queste cose accadano, si aspetta di leggerle sui siti o sulle riviste, ma non si pensa nemmeno che potremmo essere noi a generare le notizie che altri poi leggeranno. Quello che vogliamo fare è semplicemente stimolare una riflessione tra tutti quelli che leggeranno queste righe. Non puntare loro il dito per generare un senso di colpa ma invitarli a comprendere le proprie potenzialità. Non servono infatti grandi doti, capacità tecniche, addestramento, molti soldi o chissà cos’altro per potere essere parte del movimento di azione diretta che in tutto il mondo sta colpendo gli sfruttatori di animali. Serve solo una cosa fondamentale: la motivazione. Questa motivazione deve venire dal cuore e dalla riflessione. Il cuore ci fa provare empatia per gli animali e la loro condizione, mentre la testa ci suggerisce i modi migliori per aiutarli. Il cuore ci da il coraggio per agire, la testa ci fornisce un piano e una strategia. Amore e rabbia  brandiscono le tenaglie che aprono le gabbie.


L’azione diretta è efficace? 

Se l’azione diretta sia veramente efficace dovremmo chiederlo ai diretti interessati, gli sfruttatori. Da loro partono infatti continue invettive contro le irruzioni nei laboratori che frenano anni di ricerche, contro le liberazioni di visoni che fanno svanire decenni di genealogie e portano alla chiusura, contro le azioni ai negozianti che non riescono più a lavorare tranquilli, contro le azioni a casa dei vivisettori che hanno paura a dormire. Da loro partono richieste per pene più severe, in tutto il mondo, e partecipazioni a processi contro gli attivisti incriminati, ogni volta confermando quanto siano dannose per loro le azioni dirette. Da loro partono richieste di anonimato per i vivisettori, per timore di azioni alle loro abitazioni. Da loro arrivano sempre più spesso conferme dell’efficacia delle azioni, soprattutto quando questa conferma è quella finale, la resa.
Difficile trovare qualcuno che possa parlarne con maggiore cognizione di causa.

“A causa di atti terroristici di attivisti animalisti come Coronado, progetti cruciali di ricerca sono stati persi o ritardati. Sempre più dei già scarsi fondi destinati alla ricerca vengono spesi in misure di sicurezza e in premi di assicurazione maggiorati. Giovani scienziati promettenti rifiutano carriere nella ricerca e ricercatori di alto livello abbandonano il campo”
Susan Paris, presidente dell’associazione pro-vivisezione
“American for Medical Progress.


“Se si analizzano nell’insieme gli effetti diretti, indiretti e collaterali di incidenti come questo, la tattica del “sabotaggio economico” professata dall’ALF può essere considerata efficace, e i suoi obiettivi, almeno nei confronti dell’azienda colpita, raggiunti”
Da un rapporto al Senato Americano del 1993.

A parte la retorica del “terrorismo”, difficile non vedere il succo di queste parole.
Da parte nostra possiamo parlarne con un’altra consapevolezza e con un altra prospettiva. Non possiamo nemmeno elencare i successi che in tutto il mondo il movimento animalista ha raggiunto grazie alle azioni dirette, siano state liberazioni, sabotaggi o incendi. A volte le azioni hanno avuto una storia propria e una loro evoluzione, altre si sono compenetrate con campagne pubbliche di protesta, colpendo obiettivi importanti o riuscendo dove a volte un movimento pubblico non può arrivare e dando la scintilla finale per la riuscita di una campagna di lotta.

In Inghilterra, dove l’azione diretta animalista ha avuto la sua nascita e il suo più rapido e difuso sviluppo, la storia dell’ALF e quella dei successi del movimento animalista vanno di pari passo. Non si possono scindere. La Band of Mercy rivendicò nel giugno 1974 l’incendio di due barche utilizzate per la caccia alle foche nelle isole Norfolk, nel Regno Unito. Quell’incendio segnò la fine della caccia alle foche nel paese. Nei mesi successivi cominciarono per la prima volta le liberazioni di animali da allevamenti per vivisezione o per l’industria della carne. Una storica azione, la prima liberazione di cavie da laboratorio della storia, che Ronnie Lee descrive come rocambolesca,fatta con un motorino e portandosi via 6 porcellini d’india dentro una giacca, portò ad un inaspettato ed immediato risultato: la proprietaria dell’allevamento decise di chiudere per timore di ulteriori azioni! 

Gabbie aperte e migliaia di visoni liberi a Castel di Sangro (AQ), settembre 2009


Prendiamo la lotta alle pellicce, che è riuscita a far sparire quasi completamente dal mercato inglese i prodotti in pelliccia e a far chiudere tutti gli allevamenti. Se da una parte la sensibilizzazione e le proteste hanno avuto un loro effetto, la chiusura di tutti i reparti pellicceria dei grandi magazzini inglesi (per un totale del 50% del mercato nazionale) è dovuta ad una campagna di azioni dirette con l’utilizzo di congegni incendiari che venivano nascosti al loro interno, causando enormi danni allo scattare dell’impianto antincendio. Una notte uno di questi impenti non funzionò e il grande magazzino “Dingles” andò completamente a fuoco, con danni per milioni di sterline. Il giorno dopo tutti i grandi magazzini inglesi eliminarono i reparti pellicceria, mai più riaperti ad oggi. Anche la chiusura di tutti gli allevamenti inglesi è arrivata sì sotto forma di una legge, ma richiesta dai pochi stessi allevatori rimasti aperti nonostante le continue irruzioni e proteste, i quali almeno avrebbero avuto un indennizzo dal Governo per la cessata attività. Sapevano che sarebbero stati costretti a chiudere ugualmente.
Sempre in quegli anni le continue irruzioni nei laboratori di vivisezione e nei centri di riproduzione di animali per i laboratori hanno costretto molti di questi a chiudere, lasciando di questi ultimi solamente cinque aziende operanti di fronte alle quasi trenta di un tempo. Ma l’azione diretta dell’ALF, delle Animal Liberation Leagues o di gruppi che si sono firmati di volta in volta con diversi nomi, hanno avuto in questo settore un effetto molto più vasto, quello di fare uscire dai laboratori immagini sconvolgenti e preziosissime informazioni da cui sono scaturite in seguito campagne di protesta. Entrare in un laboratorio significa entrare in un luogo segreto, che non dovrebbe essere accessibile al pubblico, in cui sono celate informazioni che nessun animalista dovrebbe vedere o avere. E solo l’azione diretta riesce in questo. Basti pensare alle toccanti immagini della scimmietta Britches, liberata il 20 aprile 1985 dagli scantinati della Riverside University, in California. Questo esserino tremolante e spaurito, con gli occhi cuciti e la testa collegata ad un impianto, è diventato il simbolo della forza empatica delle liberazioni, la carica di positività che un piede di porco e delle tronchesi possono creare quando aprono le porte dei laboratori, svelando un mondo di orrori che nessuno di noi vorrebbe conoscere, ma che dobbiamo avere il coraggio di affrontare. Arrivando infine ai territori che ci sono più familiari e alla storia del movimento di cui ci sentiamo parte qui in Italia, vorremmo citare alcuni esempi, passati e recenti, di successi derivanti dall’azione diretta.

Pensiamo agli allevamenti di visone. Contro di questi non ci sono state finora campagne pubbliche, se non sporadiche manifestazioni di associazioni, soprattutto negli anni ‘80 e ‘90, quando del tema pellicce se ne parlava molto di più, eppure il numero di questi allevamenti si è drasticamente ridotto. In parte per una mancanza di mercato, ma anche grazie alle continue liberazioni e ai danneggiamenti subiti da questi aguzzini. I seguenti allevamenti hanno subito irruzioni e hanno in seguito chiuso i battenti: Bottos a Pordenone, AL.PI. a Cremella (CO), Alaska Fur di Bronzoni Marino a Ramiseto (RE), Pan Crystal a Valdobbiadene (TV), Mezzetti Valerio a Jolanda di Savoia (FE), Anipel a San Martino Buonalbergo (VR), Agricola Casilina a San Cesareo (RM). Quasi 50.000 visoni venivano uccisi complessivamente ogni anno solamente nei capanni di questi allevamenti. Adesso sono chiusi, per sempre. Al loro posto delle rovine che ricordano la presenza di un lager a memoria dell’orrore. Insieme a loro molti altri allevamenti rimangono tra la ruggine, la polvere e i segni del tempo. L’allevamento di animali da pelliccia non è più una attività diffusa e redditizia, ma rimasta relegata a circa una quindicina di aziende che uccidono 150.000 visoni l’anno rispetto ai 250.000 del 2002. Decisamente la lotta a questi allevamenti ha dato i suoi frutti. Senza valutare solamente la chiusura o meno di una azienda, le liberazioni di visoni in Italia dal 1986 ad oggi sono state tantissime, dando la libertà a decine di migliaia di animali che hanno avuto la possibilità di correre liberi e cercare un fiume in cui gettarsi. 

Forrest Lee, beagle di 10 anni liberato dall’Università di Farmacologia a Milano nell’aprile 2006


Quali sono gli effetti che alcune azioni hanno avuto sul movimento pubblico? 

Il caso più eclatante e conosciuto è quello della liberazione dei 99 beagle dall’allevamento Stefano Morini di San Polo d’Enza (RE). Nella notte del 22 novembre 2002 l’ALF rivendicò la liberazione portandosi via 99 individui destinati ai laboratori di vivisezione. Non solo, le riprese e le foto effettuate all’interno mostravano per la prima volta la realtà di questo lager, da sempre uno dei luoghi più odiati dal movimento antivivisezionista italiano. La liberazione dei beagle di Morini ha creato un interesse mediatico enorme e ha goduto di un appoggio quasi totale, a parte i casi incurabili di riformisti incalliti come l’ENPA. Nemmeno i telegiornali e i media riuscivano a condannare il salvataggio di cuccioli dalle grinfie dei vivisettori. Nel momento della nascita di una campagna pubblica con una imminente manifestazione nazionale questa liberazione ebbe un forte effetto di motivazione e di crescita della determinazione. Un messaggio di cui il movimento aveva certo bisogno. Solo un’altra azione ha avuto lo stesso impatto mediatico di Morini, la liberazione in pieno giorno di 10 cani, 12 conigli, 20 ratti e 50 topi avvenuta il 27 aprile 2006 all’Università di Farmacologia di Milano. I vivisettori e l’establishment della ricerca, uniti alle forze di polizia, hanno probabilmente capito la lezione e spesso altre incursioni in laboratori di vivisezione o centri di riproduzione di animali da laboratorio hanno subito una censura o scarsa copertura mediatica. Le liberazioni di 210 conigli dall’allevamento Pampaloni di Fauglia (Pisa) nel luglio 2005, la liberazione di 450 topi dai laboratori di Oncologia dell’Università di Firenze nell’aprile 2004, la liberazione di centinaia di animali dai laboratori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale a Brescia nel 2007 o perfino quella di 18 macachi e più di 1000 topi dalla Harlan di Correzzana (Milano) nel novembre 2006, hanno visto solo piccoli trafiletti su media locali. Lo scopo è chiaro, non far parlare di vivisezione e non dare risalto alle gesta dei liberatori, per timore di emulazione e per non dare nuove enrgie positive al movimento. Quello che però maggiormente importa in tutti questi casi è che degli esseri viventi siano usciti dall’incubo dei laboratori. Ma ci sono anche esempi differenti. Nel gennaio 2007 qualcuno ha lanciato una campagna di azioni dirette contro una azienda chiamata Zoolandia. Si tratta di una catena emiliana di negozi che vendono animali. Non è mai esistita una campagna pubblica fatta di proteste, ma solo la scelta da parte di attivisti, firmatisi spesso ALF, di colpire anonimamente questi negozi fino alla loro chiusura. I risultati si sono visti: il negozio di Parma e uno dei due negozi di Reggio Emilia hanno chiuso i battenti dopo molte azioni nei loro confronti, tra cui vetrine sfasciate, vernice, scritte, olio da motore esausto sull’ingresso, danneggiamenti alle abitazioni dei proprietari, “furto” di piccoli animali in pieno giorno. Questa lotta contro Zoolandia e altri esempi di pelliccerie che hanno chiuso in seguito alle azioni dirette sono un messaggio eloquente: l’azione diretta è efficace! 

Scritte sulla pellicceria Levi a Milano durante la Mayday del 2004. In seguito a molte altre azioni la pellicceria ha chiuso


Ci sono controindicazioni? 

Molti dei detrattori dell’azione diretta dicono che questa sia solamente controproducente in termini di immagine del movimento animalista, di repressione verso il movimento pubblico e di avanzamento generale della coscienza animalista e di legislazione in difesa degli animali. Queste parole di solito vengono dalla bocca dei portavoce di associazioni che non hanno interesse ad una reale liberazione degli animali, ma che spesso portano avanti istanze per gabbie più ampie o metodi meno cruenti di uccisione. Queste persone si trovano a criticare perfino azioni, come le liberazioni da un laboratorio per esempio, che nemmeno il cittadino medio trova esecrabili e che chiunque può comprendere e apprezzare. Dopotutto si tratta del loro lavoro, quello di difendere la busta paga in una associazione che vive dell’immagine verso i media e il pubblico, ma che non lotta col sudore e l’impegno per una reale liberazione degli oppressi. Può essere vero in parte che un estremizzarsi delle azioni dirette, soprattutto quelle di sabotaggio economico e di attacco personale verso sfruttatori, possano portare ad una legislazione che in qualche modo tocchi anche il movimento pubblico e legale. Questo è un discorso di strategia e di analisi della situazione, si tratta semplicemente di non andare troppo oltre con azioni la cui ripercussione il movimento non può sostenere. Ma chi può pagare ripercussioni del genere non sono mai questi personaggi delle grandi associazioni riformiste, piuttosto gli attivisti più dediti, quelli che si mettono in gioco direttamente con campagne e attivismo autorganizzati. Quelli che rispettano, apprezzano e sostengono l’azione diretta. In una analisi simile rientra l’utilizzo della violenza, a cui qualcuno si oppone per etica ma che molti altri non utilizzano semplicemente perché potrebbe avere ripercussioni repressive forti e potrebbe, questa sì, avere un effetto negativo in termini di immagine e interesse del pubblico verso l’idea animalista e l’appoggio alle azioni dirette. Quella sull’uso o meno della violenza è una discussione che va avanti da anni e che potrebbe necessitare fiumi di parole, ma su cui qui non ci vogliamo soffermare. Non ci teniamo certo alla comoda vita di un aguzzino, ma ci teniamo, come detto, ad una lunga vita di un movimento radicale che deve crescere e ampliarsi, non essere soffocato da ondate repressive e timore di esporsi. Tutto qui. Possiamo capire che la persona media non trovi stimolante l’immagine di un camion o un edificio in fiamme, ma questo deve forse fermarci dal distruggere i mezzi e i luoghi in cui gli animali trovano sofferenza e sfruttamento? O forse dovremmo cercare di lavorare in modo da far capire che queste azioni sono mosse da un forte senso di etica e di compassione, che anche le più forti sono solo estremi rimedi per mali, questi sì, davvero estremi. Dalle ceneri di questa società può rinascerne una  completamente nuova. Ben venga dunque il fuoco purificatore e distruttore, ben vengano le ceneri dei luoghi di sfruttamento e reclusione!


Abbiamo veramente bisogno dell’ALF? 

Guardiamoci un attimo indietro. Più di 30 anni fà nasceva l’ALF, L’Animal Liberation Front. Con questo nome cominciarono ad essere firmate azioni dirette animaliste che prima erano state portate avanti con la sigla di Band Of Mercy (la Banda della Compassione). Un nome può sembrare poca cosa, può sembrare una firma come molte altre, ma a volte può cambiare radicalmente le cose. Ed è questo il caso, perché da quel momento in poi la sigla ALF è diventata per tutti sinonimo di azioni dirette, per gli animalisti e per gli sfruttatori di animali. La sigla ALF è stata ed è tuttora importante per tutti noi che sosteniamo questo tipo di attivismo, che esultiamo di fronte a liberazioni e sabotaggi, che ci emozioniamo ancora di fronte alle immagini delle liberazioni. Questo nome, le immagini, i filmati e i comunicati, hanno fatto leva sulla voglia di agire in molti attivisti. E’ innegabile che il fascino e l’iconografia creatisi attorno ai militanti per la liberazione animale abbiano in molti un forte effetto, e che a questo contribuisca molto anche questo nome inventato nel 1976 da un certo Ronnie Lee. Ma a volte un nome, se prende troppo piede, può creare dei problemi ed avere i suoi effetti negativi. In questo caso si è creata purtroppo intorno al nome ALF un aurea mistica. Il fatto di avere da trent’anni un nome che rappresenta la maggior parte delle azioni animaliste e con cui queste vengono identificate ha avuto l’effetto di far pensare ad una organizzazione. Molti si chiedono “Come posso entrare nell’ALF?”. Molti credono che si possa essere parte dell’ALF o entrare a farne parte, entrarci in contatto. Purtroppo ancora oggi ad avere capito che si è ALF noi stessi, tutti, se si condividono le idee e si effettuano delle azioni, sono alla fin fine solamente quelli che le azioni le mettono in pratica. Altri aspettano di essere contattati o di trovare il numero di telefono segreto per entrare nell’organizzazione, diventarne membri o tesserati. In questo senso il nome ALF è controproducente. Da una parte un nome evocativo e che rimanda il pensiero ad azioni importanti può stimolare una forte voglia di azione e forse anche di emulazione, ad essere parte della stessa lotta insomma, ma dall’altra parte può frenare creando questo divario tra chi agisce e chi osserva da spettatore compiacente. Non è un caso infatti che su molti forum o riviste animaliste si possano leggere commenti su questi “eroi” dell’ALF, su come “quelli dell’ALF” siano così o facciano cosà. Molti animalisti non si rendono conto che questi “eroi dell’ALF” sono persone come loro, che come loro sono vegan e non ne possono più dello sfruttamento animale, hanno fatto volantinaggi e manifestazioni, che probabilmente ne fanno ancora, e che non hanno seguito nessun corso speciale di addestramento per poter compiere certe azioni. Non si rendono conto che questi “eroi” potrebbero essere loro stessi, se ne avessero la volontà e la spinta. In uno scritto inglese degli anni ‘90 intitolato “Going underground for animal liberation”, fatto circolare anonimamente da alcuni individui direttamente coinvolti nelle azioni dirette, si prendeva in considerazione la fine dell’ALF e dell’uso di questo nome. Le azioni hanno sicuramente un duplice effetto, uno sugli animali e sugli sfruttatori e uno sul movimento. Se il primo a cui si pensa, ovviamente, è quello degli animali che vengono liberati e delle aziende sabotate o costrette al fallimento, non dobbiamo nemmeno tralasciare gli effetti che una azione ha sul movimento e le persone che ne fanno parte, che se ne sentono parte perlomeno. L’uso di una firma come ALF o di altre inventate in seguito (Animal Rights Militia o Justice Department, per esempio) è sicuramente valutato da parte di chi effettua l’azione. Non a caso nei confronti dei nostri obiettivi per azioni che vogliono incutere più paura vengono usate firme come ARM, che sono collegate ad azioni più “estreme” e ad una mentalità di minor compromesso nel rovinare la vita degli sfruttatori rispetto a quella dell’Alf. Questa è una scelta calibrata che ogni gruppo di azione fa in base alle sue idee e alle prospettive dell’azione che compie in quel momento. Allo stesso modo l’uso della firma ALF in alcuni casi può far pensare di essere nel mirino di qualcosa di grande e non di un qualsiasi gruppo di persone che hanno passato una notte a liberare degli animali dalle gabbie o tirare della vernice su un negozio. Ci sono esempi di persone che di fronte al timore di essere nel mirino dell’ALF dopo una sola azione diretta hanno deciso di chiudere la loro attività. Questa è sicuramente la forza di questa firma, una forza creatasi appunto con il suo perdurare per più di 30 anni, nel suo diffondersi in tutto il mondo ma anche grazie ai soliti articoli fantasiosi ed esageratamente allarmisti dei media. Ma rispetto al movimento e a chi gioisce di queste azioni, può essere il caso che l’uso della firma o meno faccia una differenza? Può una azione creare meno distanza tra chi la compie e chi vorrebbe compierne altre ma non l’ha ancora fatto? Può essere di maggiore stimolo? Queste sono domande importanti, perché da una loro adeguata risposta possono dipendere 10-100-1000 azioni e animali liberati in più. Un altro aspetto, purtroppo, è anche quello legale. In alcuni paesi l’ALF è tra le liste delle organizzazioni terroristiche. Anche se non lo è ancora in Italia, rimane comunque il fatto che essere arrestati per una azione firmata Alf o meno può avere delle differenti conseguenze in un processo, perché la vostra azione potrebbe più facilmente essere accomunata ad altre con la stessa firma, siano esse nella stessa zona o meno. Mettendo quindi da parte il nome ALF, possiamo tranquillamente parlare di azioni dirette e liberazioni di animali senza dovere usare questa sigla. Vogliamo in questo modo far entrare nella testa di tutti che non esiste una organizzazione, che non ci sono tessere, che non ci sono membri dell’Alf, che non c’è modo di entrare a far parte di nulla, ma che si tratta solo di un nome con cui sono state firmate molte azioni, un nome come un altro. Un nome
come quello che potresti inventare tu oggi stesso per firmare una azione diretta che hai compiuto con qualcuno di cui ti fidi. 

I resti del furgone della pellicceria “Del Mago” a Fidenza, adesso chiusa definitivamente


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